Un mondo più sostenibile. E più integrato, ma proprio per questo più fragile, con margini minori per recuperare eventuali rotture che rischiano di creare effetti a catena. Sono alcuni degli effetti della digitalizzazione sulle comunità, i mercati e le imprese, così come li ha dipinti Stefano Quintarelli, presidente Advisory group on advanced technologies delle Nazioni Unite e presidente Steering Committee dell’Agenzia per l’Italia Digitale, intervenendo in apertura dell’incontro “Le vie della digitalizzazione”, mercoledì 26 gennaio.
L’incontro ha permesso di presentare a Bologna l’omonimo progetto di ricerca promosso da Fondazione Unipolis e condotto da un team di ricercatori di Pandora Rivista, realtà sostenuta da Coopfond, con l’intento di indagare l’impatto innescato dallo shock pandemico sui processi di digitalizzazione delle imprese, in una prospettiva che parte dal periodo pre-Covid-19 per arrivare agli scenari futuri.
“Durante la pandemia – ha spiegato Quintarelli – il digitale ci ha consentito di tenere insieme società ed economia. Chi guarda l’accelerazione che c’è stata, deve ricordare che non abbiamo ancora visto niente. Il digitale entrerà dovunque, su qualsiasi oggetto, in forme che non immaginiamo, con la sua capacità di generare, archiviare e analizzare dati”. Questa è una buona notizia anche per la sostenibilità: “La digitalizzazione è lo strumento più formidabile per rendere il pianeta sostenibile, trasferisce da atomi a bit e ci consente di ottimizzare tutto, compresa la produzione alimentare”. Ma per le imprese è soprattutto una grande sfida”.
“Ogni impresa deve innanzitutto distinguere – ha proseguito – ciò che genera valore e ciò che invece è una moda. In 15 anni dal 2001 digitale è diventato interfaccia utente della dimensione materiale del mondo, sempre di più le attività che prima facevamo in modo materiale, per cui facevamo la coda. Si ottimizza tutto, anche in azienda, ma questo implica che il sistema è più fragile: se faccio parte di una filiera ottimizzata, in caso di rotture non ho spazi per recuperare. Digitale ottimizza e quindi toglie margini per far fronte a problemi: la sicurezza è la parte che va gestita, e va fatto necessariamente in un’ottica di filiera”.
La ricerca presenta una parte teorica, utile ad approfondire questi temi, e sei casi di studio, realizzati con interviste in profondità, definite con Impronta Etica, a Coop Alleanza 3.0, Cadiai, Tper, Camst, Granarolo, CNS. Imprese per cui tema il tema della sostenibilità fosse fondamentale ma che non hanno nella tecnologia il core business. “Siamo partiti da un duplice presupposto – ha spiegato Giacomo Bottos, direttore di Pandora Rivista e coordinatore dei ricercatori che vi hanno lavorato – la digitalizzazione è una sfida ineludibile, ma non è un percorso unico, ogni azienda potrebbe e dovrebbe individuare la propria strada”.
“La maturità digitale – ha proseguito – non si valuta solo dall’aver adottato questa o quella tecnologia. Chiede una strategia che arriva a trasformare tutte le relazioni dell’impresa. Trasforma l’impresa stessa come fascio di relazioni. È una infrastruttura ecosistemica, richiede la consapevolezza che ha a che fare non con un settore ma con le strategie e a partire dalla cultura aziendale, governance, leadership e competenze”.
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